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I Cantori di Santa Margherita
APS
La Storia... (di Romano Saliprandi)
Romano Saliprandi
Sfogliare l'archivio del coro è come trovarsi davanti ad una bacheca del passato. Si rileggono articoli ingialliti, si passano in rassegna vecchie foto un po' sbiadite, si scopre quanto fascino possa conservare una fotocopia di venti anni fa che ti lascia sulle dita i segni grigi del tempo. Ci sono poi le vecchie registrazioni, con le voci di ieri a testimoniare il tempo che passa.
E sono passati oltre quarant'anni dalla nostra timida apparizione in pubblico. Un tempo speso bene, perché usato per stare insieme cantando, dove i legami affettivi ed i vincoli di amicizia sono basilari per continuare un'attività ricca ed impegnativa come quella corale.
L'incertezza sull'età del coro non nasce da un maldestro tentativo di imitar certe signore che barano sui dati anagrafici, ma dalla impossibilità di legare rigidamente al calendario la nascita di qualcosa che ha preso forma poco a poco e che rappresenta la continuazione e se vogliamo l'evoluzione, di una realtà corale preesistente, le cui origini si perdono nel tempo.
Non avevamo né distintivo né divisa, non si chiamavano come noi, ma prima che il nostro gruppo si formasse, a Santa Margherita si cantava lo stesso.
Siamo negli anni del dopoguerra; la fine della tragedia bellica predisponeva gli animi al canto.
Si cantava in chiesa, nei campi, all'osteria.
Col canto si celebravano le solennità, tra l'interesse ed il compiacimento dei partecipanti.Era il coro delle Feste Grandi.
La Chiesa parrocchiale di Santa Margherita
E da queste immagini, che possono essere considerate l'archeologia del nostro coro, dovevano partire quei cambiamenti, che nel volgere di pochi anni avrebbero portato alla formazione della nostra realtà.
Il Concilio Vaticano II eliminò dalla liturgia, insieme al latino, un immenso patrimonio di musica sacra. Venne il tempo delle chitarre, vennero le voci femminili, vennero profondi cambiamenti sia nella struttura che nel ruolo del coro parrocchiale.
Ma l'inizio dei "tempi moderni" coincide con l'arrivo nella frazione di Santa Margherita del parroco don Giorgio Galli. Giovane, dinamico, appassionato di canto anima subito la parrocchia coinvolgendo i giovani in recite canore.
I canti dello Zecchino d'Oro impegnavano i bambini ed emozionavano le mamme. Bisognava inventare qualcosa per allungare lo spettacolo e don Galli mi incaricò di formare un gruppo di canto con gli adulti disponibili. Una dozzina di persone e quaranta giorni di prove furono gli ingredienti con i quali confezionammo tre canti alpini, rigorosamente presi dal repertorio della SAT, e che puntualmente presentammo al pubblico.
La figura carismatica del M° Leopoldo Montanini, animatore e direttore per molti anni di quel gruppo, con la sua grande umanità e sensibilità musicale, seppe infondere a persone completamente digiune di musica, l'interesse per le Messe del M° Perosi e la passione per il canto corale. Seppe accendere nei coristi quell'entusiasmo che consentì loro di superare, con assoluta noncuranza, i rigori di rigidi inverni, quando a piedi si dovevano percorrere chilometri sulla neve per recarsi alle prove.
Erano voci maschili, in sintonia (forse inconscia) con le direttive ecclesiastiche del tempo (l'Enciclica "Motu Proprio" del 1903 escludeva infatti le donne da qualsiasi ufficio liturgico, compresa l'attività corale).
Nel giorno di Natale il coro cantava per la strada e portava gli auguri nelle case, creando ai miei occhi di bambino una magica atmosfera di festa. Più tardi, alla messa, io mi intrufolavo tra di loro, mi affiancavo al più bravo dei tenori secondi per seguire il canto sullo spartito. Questi si girava verso di me, cantava al mio orecchio per meglio farmi sentire la sua voce. Furono le mie prime "lezioni di canto"e quel tenore secondo era il più bravo, soprattutto perché era mio padre.
Il gioco era fatto. Siamo nel 1963 e fu quella la prima volta che un insieme di amici, battezzato sul campo "Corale Stella Alpina", del quale facevano parte alcuni superstiti della vecchia cantoria,si cimentava in un repertorio profano, al di fuori del servizio liturgico.
Ma prima che il coro potesse trovare una sua fisionomia, per svariati motivi, dovettero passare altri lunghi anni duranti i quali la passione per il canto rimase allo stato latente, quasi congelata con quell'unica esecuzione annuale preparata in fretta, per integrare uno spettacolo parrocchiale.
Maturarono i tempi e venne finalmente il momento del decollo. Grazie anche al continuo sostegno di don Giorgio Galli, i Cantori di Santa Margherita ebbero la possibilità di dedicarsi al canto in modo sistematico e continuativo: ebbero una sede, si dettero un nome (riprendendo il termine "cantori" dalla vecchia compagine canora), passarono ad una formazione a voci miste, fecero proseliti tra i giovani, iniziarono una crescita, che non si rivelerà poi soltanto numerica.
Le prove settimanali diventano un costante punto di riferimento, cadenzano un ritmo serrato, sentito, impegnato.
Siamo nel settembre del 1971 ed è questo il periodo adottato come data di nascita della nostra formazione, anche se le esperienze precedenti conferiscono a tale data un carattere del tutto convenzionale.
E' iniziato così il nostro viaggio corale che, all'insegna e nel nome del canto popolare, per tanti anni ci ha tenuti insieme, ha riempito le nostre serate, ci ha coinvolti in una straordinaria esperienza musicale ed umana.
Anche la costruzione del repertorio, che andrà a costituire il patrimonio di educazione e conoscenza del coro, avrà una sua evoluzione che approderà con maggiore interesse ai canti della nostra regione.
Ci siamo allontanati a fatica dal modello tanto caro dei cori trentini, siamo passati al folclore regionale italiano, attraverso l'esperienza strumentale, avvalendoci in quel periodo della collaborazione del M° Bruno Montanini (nipote del già citato Leopoldo), la cui fama comprovata di virtuoso strumentista, dava lustro alle nostre serate. Ci siamo lasciati stregare dai canti d'autore, tanto più piacevolmente se lo stregone si chiama Bepi De Marzi, ma abbiamo anche scoperto i canti della nostra gente, le espressioni genuine della nostra cultura, più adatti alla nostra vocalità e più vicini a noi perché documenti vivi di un passato che ci appartiene.
Avvalendosi anche del prezioso lavoro di ricerca di insigni musicisti come Giorgio Branchi Paganini, Giacomo Monica, Giorgio Vacchi e altri che hanno conferito dignità artistica a quella cultura popolare, alla quale spesso vengono riconosciuti solo attributi di pittoresca ingenuità, il coro ha fatto di questi canti una propria bandiera, li propone con orgoglio nei propri concerti, contribuendo alla salvaguardia e alla valorizzazione del nostro patrimonio culturale.
Dai primi timidi incontri con il pubblico, vennero via via impegni sempre più pressanti: rassegne importanti, trasferte all'estero e fiore all'occhiello della nostra attività, la rassegna di canto corale "Cantare è Vivere", attraverso la quale il coro scambia le proprie esperienze con realtà corali di tutta Italia. Anche la realizzazione di tre lavori discografici è a testimonianza di ciò che è stato il cammino del coro.
In questo succedersi di impegni e di emozioni, non è sempre facile distinguere se siano più importanti i grandi teatri e le manifestazioni qualificanti, oppure i concerti semplici, rivolti a persone sole e non commentati da articoli altisonanti, ma dove il contatto umano si sente particolarmente vivo e toccante.
Nel travaglio emotivo che rappresenta la nostra comune esperienza, abbiamo imparato a condividere un sorriso sincero dopo una buona esecuzione, la trepidazione per il solista, la preoccupazione per il nuovo brano. Abbiamo imparato a diffidare sia da elogi sperticati che da critiche avvelenate. Abbiamo imparato a gioire per il complimento sincero di un amico, così come a trarre profitto dal più umile dei consigli. E dopo un concerto, uscendo tra la gente, si colgono i commenti a caldo e con la tensione che finalmente si stempera in torpore e stanchezza liberatrice, si commenta la serata, si fanno valutazioni, si appuntano le cose da rivedere per il concerto successivo.
Nella vita di un coro amatoriale come il nostro, l'aspetto umano non è meno importante del fatto musicale. Per questo ogni nuovo inserimento porta una carica di entusiasmo, è uno stimolo a migliorare. Ad ogni addio, oltre ad una voce, se ne va una presenza umana con il suo patrimonio di idee, di fantasia, con la sua voglia di fare.
Ed è proprio a chi questa voglia la conserva, a chi canta tuttora nel coro che vogliamo rivolgere un grazie sincero.
Grazie a chi si è prodigato oltre le ore di canto.
Grazie a chi per motivi di salute, studio, lavoro non è più con noi.
Grazie anche a chi, non condividendo le nostre scelte, ci ha lasciato.
La crescita del coro è affidata all'impegno di tutti.
Non posso fare a meno di esprimere l'orgoglio e la soddisfazione per essere stato con questo gruppo meraviglioso fin dal primo incerto debutto.
Ma l'avventura non è conclusa, soprattutto se sapremo guardare a questi oltre quarant'anni non come un punto di arrivo, ma come un possibile punto di partenza per continuare a ricercare dentro e fuori di noi, per continuare a crescere oltre che a cantare.
E se la nostra fugace apparizione sulla piccola ribalta di chiese, piazze, case di riposo, sale da concerto, teatri, avrà contribuito anche solo infinitesimamente a muovere la "cultura povera" di tradizione orale verso l'Olimpo dei Beni Culturali come già la Pittura, la Scultura o l'Architettura;
se avremo rinverdito qualche ritornello dimenticato;
se avremo alleviato per un istante la solitudine di persone abbandonate;
se saremo riusciti a trasmettere qualche messaggio e non a divertire soltanto;
se qualche bambino si addormenterà cullato da un canto scaturito dal coro;
allora... non avremo cantato invano...
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